PA PROVENTI ALIENAZIONI A COPERTURA QUOTA CAPITALE MUTUI

Fonte: QuotidianoEntilocali&PA

Nell’ambito delle misure espansive della spesa corrente dei comuni previste dalla legge di bilancio 2018, accanto a norme tradizionali come quelle che prevedono la possibilità di destinare fino al 2020 il risparmio in linea capitale della rinegoziazione dei mutui a spesa corrente, il comma 866 rappresenta indubbiamente una novità assoluta. Esso offre la possibilità agli enti locali di destinare i proventi derivanti dall’alienazione del patrimonio disponibile alla copertura del rimborso delle quote di capitale di mutui e prestiti obbligazionari, dovute annualmente in base all’originario piano di ammortamento oppure a seguito di estinzione anticipata.

In via ordinaria i proventi delle alienazioni dell’originario patrimonio degli enti locali rappresentano una entrata di parte capitale che deve essere destinata esclusivamente al finanziamento degli investimenti o, in base a quanto previsto dal comma 443 dell’articolo unico della legge 228/2012, in caso di assenza di queste o per l’eventuale parte eccedente, alla riduzione del debito. Dal 2015 l’articolo 7, comma 5, del d.l. 78/2015 obbliga tali enti ad impiegare il 10% di tali proventi alla riduzione del debito e per la restante parte ad investimenti, senza alcun margine di discrezionalità (Corte dei conti Lombardia, delibera n. 85/2016/PAR). I proventi derivanti dall’alienazione del patrimonio trasferito dallo Stato ai sensi del federalismo demaniale, devono invece essere destinati integralmente all’estinzione del debito, salvo il 25% che va trasferito allo Stato.

In questo contesto si inserisce il comma 866 che, introducendo una deroga agli ordinari utilizzi sopra illustrati, consente agli enti di destinare tali proventi, anche se derivanti dalla dismissione di partecipazioni in attuazione di piani di razionalizzazione, al pagamento della quota di capitale di mutui e prestiti, ordinaria o conseguente all’estinzione anticipata. Il legislatore tuttavia ha fissato requisiti molto stringenti per poter sfruttare tale facoltà:

  1. che, con riferimento al bilancio consolidato dell’esercizio precedente, il rapporto tra il totale delle immobilizzazioni e dei debiti da finanziamento risultanti dal medesimo bilancio sia superiore a 2. Va innanzitutto chiarito se il riferimento al bilancio consolidato dell’esercizio precedente debba intendersi come bilancio consolidato dell’esercizio 2017 da approvarsi entro il 30 settembre 2018 ovvero come bilancio consolidato approvato nel 2017 e riferito all’esercizio 2016. La prima interpretazione indebolisce l’efficacia della norma in quanto impedirebbe agli enti di sfruttarla in fase di approvazione del bilancio, dovendo attendere il 30 settembre per avere i dati ufficiali su cui verificare il parametro. Più agevole sarebbe prendere come parametro il consolidato approvato nell’esercizio precedente e riferito al 2016. Va infine chiarito che gli enti che nel 2016 non hanno approvato il consolidato avendo esercitato l’opzione di rinvio dell’applicazione della contabilità economico patrimoniale e del bilancio consolidato non sono tenuti a rispettare tale requisito per l’applicazione del comma 866. Stesso discorso vale per gli enti che, registrando un perimetro negativo, sono esonerati dall’approvazione del consolidato.
  2. che in fase di previsione le spese correnti “non ricorrenti” non registrino un aumento. I dati da comparare sono quelli del bilancio previsionale 2018 e quelli esposti nel bilancio previsionale 2017, determinate sulla base della codifica attribuita alla transazione elementare. Sono spese non ricorrenti quelle non previste a regime ma limitate ad uno o più esercizi, come le consultazioni elettorali, i debiti fuori bilancio, le spese sostenute per eventi calamitosi. Una penalizzazione arriverà in tal senso dall’imminente rinnovo del contratto, in quanto gli oneri stipendiali che matureranno a regime dal 2018 in avanti, pur considerandosi spesa ricorrente, determinano un esempio di incremento “incolpevole” di tali tipologie di spesa rispetto al 2017;
  3. che l’ente sia in regola con gli accantonamenti al fondo crediti di dubbia esigibilità. La congruità degli accantonamenti a fondi crediti è un requisito presupposto ai bilanci e rendiconti approvati dagli enti locali con il parere favorevole del responsabile finanziario e dell’organo di revisione. Tale requisito può quindi essere fatto valere in assenza di rilievi mossi dalla Corte dei conti, dal Mef, dagli organi di controllo interni ovvero dallo stesso responsabile sulla regolare costituzione del fondo crediti.

Gli enti che, rispettando tutti i requisiti previsti, decideranno di finalizzare i proventi delle alienazioni al pagamento delle quote di capitale dei mutui, dovranno comunque prestare molta attenzione al mantenimento degli equilibri di bilancio. A fronte di una spesa certa (come quella allocata al Titolo IV della spesa per il pagamento delle ordinarie quote di capitale dei mutui) l’entrata connessa alle alienazioni presenta un alto tasso di aleatorietà connesso alle difficoltà di riuscire a vendere il bene.  Per questo motivo lo sfruttamento di tale facoltà deve essere attentamente valutato dagli enti e, al fine di non determinare potenziali buchi di bilancio, si consiglia di recepire tale opzione in sede di variazione di bilancio e solo dopo aver accertato i proventi a seguito della stipula del rogito di compravendita.