Nell’ambito delle operazioni straordinarie di avvio della nuova contabilità economico patrimoniale, quest’anno obbligatoria solo per gli enti con più di 5mila abitanti (si veda il Quotidiano degli enti locali e della Pa dell’11 aprile), uno degli aspetti più delicati e importanti è rappresentato dalla riclassificazione del patrimonio netto dell’ente e dalla sua suddivisione tra fondo di dotazione e riserve. Rispetto al vecchio ordinamento, in cui il patrimonio netto era suddiviso tra beni demaniali e beni patrimoniali, ora lo schema allegato 10 al Dlgs 118/2011 impone, in analogia a quanto previsto per i bilanci privati, la suddivisione tra:
• fondo di dotazione: è la parte indisponibile del patrimonio netto, posta a garanzia della struttura patrimoniale dell’ente. Una volta quantificato tramite apposita delibera di Giunta, non potrà più subire riduzioni per effetto delle perdite ma, al contrario, potrà essere solo aumentato a seguito della capitalizzazione delle riserve;
• riserve: rappresentano una voce del patrimonio netto che si affianca al fondo di dotazione. Esse si distinguono in riserve disponibili e riserve indisponibili in base alla loro possibilità di utilizzo;
• risultato economico dell’esercizio: corrisponde all’utile o alla perdita di esercizio rilevata nel conto economico.
Al 1° gennaio di avvio della nuova contabilità non deve essere valorizzato.
Il fondo di dotazione
Non è una domanda banale chiedersi quanto appostare nel fondo di dotazione e quanto appostare nelle riserve, in particolare quelle da utili. Il principio contabile allegato 4/3 (punto 6.3) prevede a questo proposito che si possa «fare riferimento ai risultati economici dei primi esercizi di adozione della contabilità economico-patrimoniale». Appare evidente come convenga all’ente determinare un fondo di dotazione significativamente più basso rispetto al totale del patrimonio netto, così da valorizzare adeguatamente le riserve disponibili e, se dovesse manifestarsi un deficit patrimoniale a seguito della esposizione delle riserve da beni demaniali e patrimoniali indisponibili, contenere l’importo da ripianare. Del resto il fondo di dotazione non costituisce una garanzia per i creditori dell’ente e nemmeno è preordinato ad assicurare la continuità aziendale, trattandosi di un ente pubblico, per cui non si ravvisa la necessità di creare un fondo di dotazione particolarmente elevato. Quindi, le riserve da risultati economici di esercizi precedenti possono essere quantificate sommando i risultati degli ultimi cinque/dieci anni, se la sommatoria conduce ad un importo apprezzabile, oppure risalire ancora più indietro nel tempo, fino anche all’avvio della contabilità economico patrimoniale disposta a seguito dell’entrata in vigore del Dlgs 77/1995. I Comuni con popolazione inferiore a 3.000 abitanti, che nel vecchio ordinamento non erano obbligati alla redazione del conto economico, possono ricostruire i risultati economici degli esercizi precedenti calcolando la differenza tra il patrimonio netto al 31 dicembre 2016 e il patrimonio netto risultante alla data del 31 dicembre dell’esercizio preso a riferimento.
Le altre riserve
Altre riserve oltre a quella da risultati economici di esercizi precedenti sono costituite da:
• riserve da permessi di costruire: corrispondono alla voce BII del vecchio conto del patrimonio passivo al 31 dicembre 2016;
• riserve di capitale, che accolgono tutte le differenze positive di rivalutazione, a seguito dell’applicazione dei nuovi criteri contenuti nel principio contabile allegato 4/3. Nel caso in cui le differenze di rivalutazione fossero negative e le riserve non fossero capienti, dovrà essere rilevata una perdita da rivalutazione, destinata a essere recuperata negli esercizi successivi;
• riserve da beni demaniali, patrimoniali indisponibili e da beni culturali: dal 2017 tutti gli enti devono valorizzare all’interno del patrimonio netto queste nuove riserve indisponibili, utilizzando prioritariamente le riserve disponibili e, nel caso in cui fossero insufficienti, andando in riduzione del fondo di dotazione.
Deficit patrimoniale
L’emersione del deficit patrimoniale è una situazione che si presenta con una certa frequenza negli enti territoriali, il cui patrimonio è costituito per la maggior parte da beni demaniali e beni patrimoniali indisponibili che non possono costituire garanzia dei debiti dell’ente. È noto, d’altro canto, che i creditori dell’ente non mirano a questi beni per soddisfare i propri diritti, quanto piuttosto alle entrate che l’ente territoriale consegue (come nel caso della delegazione di pagamento per i mutui) e alle disponibilità liquide. Per questo motivo desta perplessità quanto previsto dal principio, circa l’obbligo per l’ente, in caso di deficit patrimoniale, di assumere le iniziative necessarie per riequilibrare la situazione e fronteggiare le proprie passività. Nella relazione sulla gestione si dovrà dare conto dell’eventuale deficit patrimoniale, della corrispondenza di questo deficit con il disavanzo di amministrazione nonché modalità e tempi per un suo ripiano, tenendo conto però che per gli enti esiste un preciso obbligo di pareggio di bilancio e che gli eventuali accantonamenti rappresentano, comunque, dei costi difficilmente sostenibili per una eventuale copertura della perdita patrimoniale. Una misura può sicuramente essere costituita dal conseguimento di utili di esercizio in grado di assorbire il deficit e di ricostituire il fondo di dotazione, ovvero il completamento del processo di rivalutazione che, attraverso una più puntuale valorizzazione delle poste dell’attivo, consenta di aumentare il patrimonio netto e ridurre il deficit. Il tutto in attesa di conoscere anche la posizione che assumeranno le sezioni regionali di controllo della Corte dei conti in ordine a questo delicato aspetto.
di Daniela Ghiandoni ed Elena Masini